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Migliore testo teatrale, sceneggiatura cinematografica e scrittura seriale di fiction televisive

XXIII Edizione Premio Massimo Troisi

Anche quest’anno la giuria composta dai docenti del Master in Drammaturgia e cinematografia dell’Università degli Studi di Napoli Federico II (Pasquale Sabbatino, coordinatore del Master, Vincenzo Caputo, Anna Masecchia, Matteo Palumbo, Giuseppina Scognamiglio) assegnerà, nell’ambito del Premio Massimo Troisi – Comune di San Giorgio a Cremano, un riconoscimento al migliore “Autore emergente” all’interno della sezione “Migliore testo teatrale, sceneggiatura cinematografica e scrittura seriale di fiction televisive” (per tale riconoscimento è prevista una borsa di studio).

Giunto alla sua XXIII edizione, il Premio Massimo Troisi si svolgerà dal 26 giugno al I luglio 2023 a San Giorgio a Cremano, città natale dell’indimenticato attore e regista, sotto la direzione di Gino Rivieccio.  La kermesse darà la possibilità a talenti emergenti di concorrere ad ambiti premi e riconoscimenti con l’obiettivo di consegnare a studenti e studiosi, appassionati e addetti ai lavori, l’immagine inedita di un Troisi vivo e prolifico.

«Uno degli obiettivi principali del Master in Drammaturgia e cinematografia – afferma Pasquale Sabbatino – è formare e valorizzare esperti, curatori di testi scenici, autori e critici teatrali. In questo senso il Premio Massimo Troisi si mostra sensibile nel sostenere il talento delle nuove generazioni attraverso la scelta meritoria di assegnare una borsa di studio a giovani autrici e autori».

Oltre all’autore emergente, la giuria del Master assegnerà anche un “Premio speciale” riservato invece a personalità che si sono distinte negli ultimi anni nel lavoro teatrale, cinematografico e televisivo (tra i premiati delle scorse edizioni è possibile menzionare Ippolita Di Majo, Arturo Muselli, Maurizio Braucci). Quest’anno il premio speciale sarà assegnato ad Adriano Pantaleo.

«Il premio speciale ad Adriano Pantaleo – dichiara Vincenzo Caputo – vuole essere il riconoscimento alla carriera ormai trentennale di un artista che dagli esordi cinematografici e televisivi (come non ricordare Io speriamo che me la cavo di Lina Wertmüller del 1992) fino all’impegnativo confronto con i classici del nostro teatro (si veda Natale in casa Cupiello di Edoardo De Angelis del 2020) ha mostrato tutto il suo poliedrico talento».

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Al via il nuovo ciclo del Master per l’anno accademico 2022/23

Iscrizioni entro il 17 marzo

Con Decreto Rettorale 2023/411 del 13/02/2023 è stato indetto, per l’anno accademico 2022/2023, il concorso pubblico, per titoli, a numero 50 posti per l’ammissione al corso di Master di II livello in Drammaturgia e Cinematografia, afferente al Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Napoli Federico II.

Il Master si propone di realizzare, nel contesto del sistema teatrale e cinematografico contemporanei, un percorso formativo finalizzato alla formazione di esperti della drammaturgia e cinematografia europea in grado di operare nel campo dello spettacolo e dell’industria culturale; nuovi autori; critici teatrali e cinematografici capaci di lavorare nei giornali, nelle televisioni e nell’editoria; docenti della drammaturgia e cinematografia in ambito scolastico; editori di testi teatrali, cinematografici e televisivi. Laboratori e stage approfondiscono aspetti particolari del percorso formativo professionale, consentendo ai corsisti di avvicinarsi direttamente alla critica teatrale e cinematografica, alla organizzazione di un ufficio-stampa e alla scrittura di testi per la scena.

Le molteplici attività del Master (dalla critica teatrale e cinematografica allo studio della drammaturgia italiana ed europea; dalla storia del cinema all’elaborazione di testi per lo spettacolo e per il giornalismo) sono finalizzate alla formazione professionale di esperti, che potranno inserirsi nel mondo lavorativo relativo ai settori della critica teatrale e cinematografica nonché delle scritture per la scena. A tal proposito il Master organizza specifici incontri con personalità del mondo dello spettacolo, come è già accaduto con Lucio Allocca, Peppe Barra, Antonio Capuano, Fortunato Cerlino, Marcello Cotugno, Luca De Filippo, Maurizio de Giovanni, Mario Gelardi, Pino Imperatore, Peppe Lanzetta, Mario Martone, Arturo Muselli, Alessandro Preziosi, Mariano Rigillo, Francesco Saponaro e altri artisti o esperti del settore.

Anche per questa edizione la didattica si svolgerà in modalità online su piattaforma microsoft TEAMS.

Per partecipare al concorso, il candidato dovrà, a pena di esclusione, presentare la domanda esclusivamente tramite la procedura telematica all’indirizzo internet http://www.concorsi.unina.it/domandeMaster/ entro e non oltre il 17 marzo 2023, ore 12:00.
Si ricorda che per tutti coloro i quali verranno giudicati idonei e vincitori  il contributo di iscrizione al Master ammonta a € 516,00 pagabile in un’unica rata, oltre ad € 160,00 per la tassa regionale per il diritto allo studio universitario.

 

Il bando completo è disponibile qui
Scarica il regolamento

 

Al Teatro Bellini di Napoli Don Juan in Soho

Ispirata al Dom Juan ou le Festin de Pierre di Molière del 1665.

Recensione

 

È di scena al Teatro Bellini di Napoli Don Juan in Soho, adattamento della commedia del britannico Patrick Marber ispirata al Dom Juan ou le Festin de Pierre di Molière del 1665.

La regia è affidata a Gabriele Russo che in quest’opera esilarante e al tempo stesso cruda indaga il rapporto tra sessualità e società odierna.

Il protagonista è un dj dedito agli eccessi, interpretato dall’eclettico e coinvolgente Daniele Russo, che su un palcoscenico trasformato in pedana girevole vive il suo essere contemporaneo con spregiudicatezza ed intensità, perché vuole inseguire a tutti i costi i piaceri della carne, anche se a volte lui stesso sembra essere inseguito da un guizzo di coscienza che lo invita a pensare. Alla fine sarà l’eccentricità del suo ‘ego’ a prevalere, la sua natura deprecabile non lo farà pentire, neppure davanti al padre.

Figlio irriverente, nell’opera di Marber si ritrova a Soho, quartiere a luci rosse di Londra. Nella rivisitazione in scena in questi giorni al Bellini Daniele Russo incanta il pubblico con la sua fisicità che sa essere accattivante e mai volgare. Ai momenti seduttivi si affiancano i colori caldi di atmosfere che evocano le notti dei nightclub in cui si perdono Larry (Clive Owen) e Alice (Natalie Portman) di Closer, film di Mike Nichols del 2004, di cui Marber ha firmato la sceneggiatura.

È un quadro di tradizionale ribellione agli schemi quello in cui si muovono tutti gli altri personaggi, e lo fanno con disinvoltura, rimanendo ai margini della pedana per buona parte dello spettacolo, quasi a rimarcare l’unicità di Don Juan o semplicemente il giudizio morale al quale in fondo lo sottopongono. Eppure anch’essi rappresentano una società allo sbando, restando intrappolati nei suoi cliché.

In questo intreccio dalle tinte ritmate di sonorità elettriche, illumina, oltre ad un impianto scenico ben costruito da Roberto Crea, un istrionico Alfonso Postiglione che, in perfetta sincronia col protagonista, veste i panni di Stan, il servitore di Don Juan, e dopo aver invano cercato di convincerlo a cambiare, al momento della ‘resa dei conti’ che implacabile e tuonante governa la scena, abbandona il padrone al suo destino. La luce cala e il corpo di Don Juan si agita sulla pedana, perché si sente vittima travolta dalla sua stessa voglia di sesso. Ormai sembra dannato, proprio lui, l’estremo difensore del libero arbitrio! Ma è solo un attimo. Questo narcisista che non ha paura di esporsi rimane fedele a se stesso. Elvira, interpretata da una straordinaria Noemi Apuzzo, non riesce a farlo redimere, e da moglie tradita si trasforma in attivista ecologica.

Gabriele Russo ci presenta un’opera divertente e provocatoria che, pur nel suo linguaggio spudoratamente moderno, resta attaccata alle radici di un teatro che fa riflettere. Nel suo dinamismo,  mette in luce le contraddizioni dell’umanità, per farci scoprire che i vizi di Don Juan sono i pensieri che non smettono di assomigliarci, e che, il più delle volte per paura di noi stessi, non abbiamo il coraggio di attuare.

Autenticamente imperdibile.

Recensione di Mimma Iannone

Ph. Mario Spada

La vita sospesa in «Binario Morto» tra echi di Ruccello e Beckett

  Al Teatro Nuovo la pièce di Lello Guida per la regia di Alfano e Scardino

Nello spazio liminale di un vagone ferroviario, fermo da un tempo imprecisato, due uomini lasciano emergere desideri e insoddisfazioni sottesi alla routine dell’esistenza. Una donna che si sente la Vergine Madre, voce di una follia che forse non è meno folle delle traiettorie della vita, tra deliri e acque miracolose, promette a chi incontra la guarigione da peccati e malattie. Un aspirante suicida, appeso alla speranza di un treno che cancelli il suo dolore sotto le rotaie contro cui non ha mai il coraggio di lanciarsi, irrompe nei discorsi (e nelle vite) dei due protagonisti ricomponendone a sorpresa il puzzle degli incontri che deviano il percorso dei giorni dai binari di un quotidiano silenziosamente inchiodato al dolore di «vivere nei ritagli delle vite degli altri».

È su questo filo che si snoda Binario Morto, la pièce di Lello Guida (Premio «Annibale Ruccello» dello Stabia Teatro Festival 2022) allestita al Teatro Nuovo di Napoli per la regia di Franco Alfano ed Elena Scardino.

E si comprende subito che il «binario morto» del titolo non è che il grumo di vita intorno a cui si rapprende in un lampo la coscienza del Sé quando una creatura di nome uomo distoglie lo sguardo dallo stillicidio del tempo in cui è immerso o – meglio – sommerso, in un’intermittente apnea di aneliti e desideri di nuove e piene forme di realizzazione. Forse non è un caso che in una delle ampie didascalie del testo (da cui invero Alfano e Scardino sovente si emancipano esercitando sapientemente e legittimamente il diritto al tradimento della regia) Guida sottolinei, a proposito del personaggio di Maria, che «parla con affanno come chi ha appena fatto una lunga corsa [..] e la sua recitazione, condizionata dall’asma, comunicherà un senso di oppressione o difficoltà respiratoria». Maria discende, naturalmente, dalla Maria di Carmela protagonista di uno degli episodi di Mamma di Annibale Ruccello, di cui Lello Guida è stato compagno di scrittura e di avventura teatrale. Insieme hanno composto L’Osteria del melograno, Ipata e L’Ereditiera e fondato nel 1977 la Cooperativa teatrale Il Carro.

Guida in particolare ha seguito dall’interno tutti gli allestimenti dei testi di Ruccello in una vera e propria osmosi artistica di cui è inevitabile rinvenire le tracce anche nella pièce con cui oggi ritorna in teatro. In effetti, al di là di echi di situazioni e battute che possono rimandare a testi di Ruccello come il già citato Mamma, Ferdinando e Notturno di donna con ospiti, o del riferimento alla tradizione delle sette Madonne campane ovvero a quella ricerca antropologica sul folklore in cui affonda le prime radici il percorso teatrale di Ruccello condiviso con Guida, si può dire che il vero trait d’union tra i due autori sia piuttosto nella direzione da cui si muove lo sguardo sui protagonisti. Come nella cosiddetta trilogia del quotidiano da camera di Ruccello, infatti, essi sono quasi ‘spiati’ in una situazione apparentemente banale, minimale, e dai loro gesti, dalle loro manie, dai dialoghi dimessi affidati a un linguaggio quotidiano senza palpiti di poesia si staglia man mano la loro dolorosa condizione di sospensione tra la vita e i desideri sopiti e inespressi.

Tuttavia – e qui si impone la novità e la forza espressiva del testo di Lello Guida – mentre in Ruccello l’inciampo è rappresentato sempre da un processo di trasformazione culturale e dunque dalla «deportazione» e dal disadattamento dei personaggi da un contesto a un altro, Binario Morto è piuttosto proiettato verso la dimensione di una metafora esistenziale beckettianamente declinata. I personaggi di Guida non sono più dei contrassegni culturali individuati da un preciso status (il travestito, la casalinga, l’insegnante emigrata ecc.) ma le diverse facce di un’umanità che quando per caso si guarda allo specchio prova disperatamente a giocare la sua partita con il tempo, con la vita e con un’attesa indefinita, traboccante di rigurgiti di passato più che di speranze di futuro. Lo stesso personaggio di Damiano, il professore omosessuale di provincia, che pure esterna la rabbia e la paura della discriminazione, non è l’emblema di un corto circuito culturale o di un’impossibile transizione uomo-donna, ma piuttosto di una solitudine e una disillusione tout-court.

In Binario morto, dunque, il cosiddetto «minimalismo tragico» ruccelliano si configura come punto di ripartenza, più che di approdo, da cui Guida rimescola in teatro le carte dell’esistenza per suscitare domande, piuttosto che risposte, a uno strisciante e ambiguo mal de vivre.

Minimalismo tragico che la regia sublima rileggendo la pièce appunto secondo i canoni della tragedia – classica, naturalmente – ovvero unità di tempo, azione e luogo, assegnando agli attori una recitazione frontale nei momenti culminanti per farne personaggi epici nella loro condizione di isolamento esistenziale, spesso contrappuntato dalla nevrosi o dalla follia. Una chiave surreale cui è funzionale la scena dello stesso Alfano e di Aldo Arrigo, che alla dovizia di particolari realistici delle didascalie sostituisce una scenografia stilizzata di finestrini disegnati, mentre le contaminazioni elettroniche delle musiche di Gabriele Guida contrappuntano i climax ascendenti dei flash-back in cui riaffiorano traumi e segreti dei protagonisti.

Ciro Girardi nei panni di Cosimo è abile nei cambi di registro tipici del personaggio dell’ipocondriaco, complementare all’amara e dolorosa ironia dell’amico e compagno di viaggio Damiano interpretato da Antonio Grimaldi, che – e qui è inutile sottolineare, nomen omen, il gioco allusivo con i Santi medici e fratelli Cosma e Damiano – ne condividerà il destino. Roberto Lombardi è uno spiritato Salvatore, l’aspirante suicida di cui sa egregiamente riproporre con corpo e voce i picchi emotivi del disturbo bipolare. E infine Teti Lombardi è una ieratica affabulatrice di deliri nel ruolo di Maria, la sedicente Madonna ma anche grottesca Parca dispensatrice con le sue misteriose bottigliette di presunti veleni e presunti antidoti ovvero di Morte e di Risurrezione.

A un gioco fatale di misture è affidata, ambigua e surreale, la conclusione dello spettacolo che riporta alla mente il Kundera de L’insostenibile leggerezza dell’essere: «Soltanto il caso può apparirci come un messaggio. Ciò che avviene per necessità, ciò che è atteso, che si ripete ogni giorno, tutto ciò è muto. Soltanto il caso ci parla».

 

Monica Citarella