“Incursioni teatrali. Sceneggiatori, attori e registi dietro lo schermo”

Ospite Adriano Falivene

Martedì 15 novembre 2022 alle 17.30 si terrà in modalità online, nell'ambito delle iniziative del Master di II livello in "Drammaturgia e cinematografia" dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, il seminario con l'attore Adriano Falivene, che inaugura il secondo ciclo di incontri dal titolo "Incursioni teatrali. Sceneggiatori, attori e registi dietro lo schermo". Si tratta di un vero e proprio esperimento che vede coinvolti diversi artisti del mondo teatrale contemporaneo, i quali presentano in diretta streaming i propri lavori in programmazione dialogando con le specializzande e gli specializzandi.

"L'obiettivo degli incontri – afferma Vincenzo Caputo docente del Master e curatore del ciclo di incontri – è di puntare l'attenzione sulle specifiche professionalità di registi, attori e sceneggiatori. L'emergenza pandemica degli anni scorsi ha imposto una riorganizzazione delle nostre attività di collaborazione con tali professionalità.  Da queste premesse è nato il progetto Incursioni Teatrali, che permette ai nostri specializzandi di ‘irrompere nei teatri' attraverso le piattaforme internet e di confrontarsi con attori e registi dopo un difficile periodo in cui è stato quasi impossibile farlo".

Il primo incontro sarà con l'attore Adriano Falivene, che è stato apprezzato dal grande pubblico grazie all'interpretazione di Bambinella nella celebre fiction Il commissario Ricciardi basata sulla serie di romanzi dello scrittore Maurizio de Giovanni. Quella interpretazione televisiva si è trasformata in interpretazione teatrale. Bambinella ha, infatti, girato i palcoscenici italiani con la fortunata piece Mettici la mano (per la regia di Alessandro D'Alatri). Con quest'opera siamo sempre a Napoli ma nella primavera del 1943. La scena è un vano interrato in tufo, un rifugio improvvisato per proteggersi dai bombardamenti, che diviene anche un'improbabile scenografia per una strana compagnia riunita dalla necessità del riparo. Qui lo spettatore, tra gli altri, può ritrovare appunto Bambinella ma anche il brigadiere Raffaele Maione (Antonio Milo), personaggi a lui ormai familiari.

Per partecipare inviare una mail a vincenzo.caputo@unina.it

 

Anhell69, film documentario di Theo Montoya

RECENSIONE DI MIMMA IANNONE

È una dimensione parallela quella in cui ci trasporta Theo Montoya nel suo film documentario Anhell69, presentato il 25 ottobre in occasione dell'apertura della manifestazione “Venezia a Napoli. Il cinema esteso” nella Settimana Internazionale della Critica.

Nella película che il giovane regista colombiano definisce «senza frontiere, senza genere, trans», ed è sostanzialmente un tributo ai film colombiani, lui stesso si immagina morto in un carro funebre guidato da Victor Gaviria, regista da cui è stato fortemente influenzato, come afferma rivolgendosi ad un pubblico di studenti accorsi a vedere il suo lavoro al cinema Academy Astra.

Scenario del film è la città di Medellìn, importante centro industriale nonché capoluogo del dipartimento di Antioquia, che assume un significato profondo in questo viaggio dalle tinte rosse di feste clandestine, in cui un gruppo di amici fa uso di droghe e attraverso i social riempie il vuoto esistenziale che governa il giorno, mentre la notte è l'unico momento in cui vivere perché, che sia di overdose, di guerriglia, per colpa di un pazzo o della polizia, si muore tante volte in questa parte di mondo da arrivare a non avere aspettative per il futuro. Ma che cos'è il futuro per un paese che non ha mai conosciuto la pace, che ha dovuto aspettare cinquantadue anni affinché fosse firmato un Accordo di Pace? Il riferimento è al 2016, anno in cui il Presidente Juan Manuel Santos e il Leader delle Farc Rodrigo Londoño hanno posto fine ai conflitti in Colombia.

Camilo Najar è il protagonista del film di Montoya. Nel 2017 viene invitato dal regista insieme ad altri amici a partecipare ad alcuni provini. Rappresentano l'immagine di una città inabissata in un nichilismo che non riesce a vedere oltre il buio, tranne che in quel passaggio che trova proprio nel cinema una forma di riscatto. Ed ecco che i provini diventano un momento per vivere il presente, e la videocamera un'arma che con coraggio Montoya sfodera nelle strade infestate dalla violenza.

È un racconto al passato il suo, che parte dalla storia di un ragazzo morto a 21 anni di eroina.  È il cinema di quelli che sono stati cacciati via, e il nickname Anhell69 è un ottimo espediente attraverso il quale passare inosservati e nello stesso tempo esserci là dove non ci sono padri e l'unico modello è Pablo Escobar. Quelli che non appartengono, per dirla col regista, gli spettrofili, escono di notte e Anhell, dopo la sua morte, si trasforma in un fantasma, divenendo il simbolo di una generazione vittima della pulizia sociale, dei cacciatori di spettrofili, quelli che vogliono eliminare gli omosessuali, i drogati, i guerriglieri.

«Mi sono rifugiato nel cinema perché era l'unico luogo dove potevo piangere», ha detto Theo Montoya, che ha visto morire ad uno ad uno i propri amici. Forse per questo alla domanda di una studentessa presente in sala ha risposto «abbiamo bisogno di piangere di più».

È un cimitero a cielo aperto quello in cui Scharlott passa davanti alle tombe dei fantasmi del piano B. Montoya chiama così coloro che «attraverso Anhell69 hanno iniziato a convivere con i civili». Scharlott vuole essere filmata da sola, e il suo ultimo testimone è proprio Theo Montoya. «La morte è la nostra amica», racconta al provino, ed è un'idea questa che ha qualcosa di trascendentale, perché concepisce la parte più nera dell'esistenza umana non come una sofferenza, ma come uno spunto per ricominciare. Le inquadrature su Medellìn si alternano tra la cupezza della notte che diventa amore e la bellezza di un giorno che soltanto morendo può rinascere. Un ragazzo scrive su un muro Anhell69 e dice «voglio appartenere». E forse la vita, alla fine, anche per lui è la vera risposta.