di Vincenzo Giugliano

L'OSCURO ROVESCIO DELLE COSE

Estratto dai testi di Tommaso Landolfi tra cui: Un amore del nostro tempo, La muta, Mano rubata o Gli sguardi, “L’oscuro rovescio delle cose”, andato in scena al teatro Trianon Viviani, è un monologo sull’intimità mentale dell’autore, caratterizzato spesso dal gioco in tutte le sue accezioni, e di cui è affascinato e vittima allo stesso tempo. È su questo terreno che Miele prova a interpretare Landolfi giocando una partita doppia in simultanea. la prima è con l’ottima attrice Alessandra Crocco che è chiamata ad una dura prova fisica, costretta letteralmente a schizzare come una pallina da flipper tra i diversi quadri scenografici, dando spesso un effetto stroboscopico accentuato dai suoni dirompenti di Shari Delorian, e poi a dividersi in cinque parti rischiando la sanità mentale, tanto che non si può non tifare per lei alla fine dello spettacolo.

Seguita come un’ombra dalle luci di Angelo Piccinni, riesce persino a diventare attrezzista, e parte della scena essa stessa, quando muove liberamente lungo il palco le gigantografie fotografiche di luoghi vuoti, montate su carrelli mobili, ideate da Ludovica Diomedi e Elisa Gelmi. Un allestimento scenico in movimento, quello delle due scenografe, che nella sua essenzialità, rende molto bene il vuoto raccolto del pensiero per immagini. La seconda partita è quella con il pubblico, cercando di far entrare nella mente dei presenti la consapevole sensazione di trovarsi difronte a parti frammentate della coscienza di Landolfi, che diventano porte che sbattono in continuazione senza soluzione di continuità e prive di qualsiasi rapporto logico-temporale. In pratica stiamo guardando come funziona il processo mentale di un autore, come la più naturale delle azioni.

La sfida a poker che ci propone la Crocco all’inizio dello spettacolo è fin troppo esplicativa della volontà del regista, e allo stesso tempo drammatica: “Ci sarà un solo vincitore e tutti gli altri dovranno spogliarsi”, e quindi mettersi a nudo. Il terrore che abbiamo di questo gesto rivoluzionario ci fa trasalire: Sta dicendo sul serio? Vuole davvero che ci liberiamo dalla pesantezza del pensiero strutturato per visualizzare l’essenziale? Una partita impegnativa che cinicamente fa perdere all’attrice che chiede il nostro aiuto spiazzandoci, poi però si sacrifica e ci libera definitivamente da questo sforzo immane. In ultima analisi Miele questa sfida doppia la vince, perché alla fine dello spettacolo, si lascia la poltrona del teatro con la rassicurante impressione di essere stati in un posto oscuro si, ma terribilmente familiare.