UCCELLINI DI SCAMPIA

di Antonio Setola

UCCELLINI DI SCAMPIA

Tonino, nato a Miano zona Napoli-nord, detto ‘o Giappone, torna da emigrante nel suo Sud, tra Miano, Secondigliano e Scampia. Con una valigia in mano lo vediamo entrare sulla scena, mentre una donna velata di bianco prega per i quartieri più difficili di Napoli: «ora pronobìs»; e un angelo si posiziona in posa su una pietra tombale. La pietra tombale di chi? Lo stesso angelo, il baritono Antonio Santaniello, più volte durante la rappresentazione entrerà a intonare liriche struggenti, quasi per fare eco a un lamento che non trova ascolto. Lo spettacolo “Uccellini di Scampia”, della Kaotikateatro, ci restituisce un teatro di evocazione, tra lirica e dialetto, tra innalzamenti poetici e asprezze dialettali.

‘O Giappone, interpretato da Ciro Pellegrino anche regista dell’opera, rievoca la sua infanzia nella trincea delle periferie, dove c’era, tra gli altri, un proverbiale signore detto Jatevenne, così chiamato perché ovunque vedesse giovani «uccellini di Scampia» giocare, provare a stare al mondo, urlava loro “Ijatevenne!”. Di fatti, purtroppo tutti urlavano loro di andarsene, sottolineerà Petrosina, interpretata da Sara Penelope Robin; l’altra figura che incontrerà Tonino, dalla quale sarà aiutato nel percorso di ricordanza della ragione che lo ha spinto ad andare via da Napoli, ‘sta volta non per modo di dire. La ragazza però non sembra avere la stessa età di Tonino, per lei il tempo non è passato. Le parole proferite durante tutta la messa in scena rimandano al microcosmo antropologico di Napoli-nord, contornate da excursus etimologici che indagano le radici di quei significati, di cui, diventati seconda pelle, ci si dimentica dell’arbitrarietà – così come è arbitrario per certi ragazzi vivere in contesti dove si è sin dalla nascita condannati.

Siamo in una dimensione non mimetica, tra vita e morte. Qualcosa di dantesco, certo, dove l’inferno però è la realtà che si è lasciata alla spalle, e il paradiso forse non è possibile davvero fino in fondo. Con l’ausilio di uno schermo la multimedialità viene in soccorso per acuire la dimensione eterea; senz’altro sognante la scena in cui Tonino e Petrosina ballano sembrando proprio degli uccellini, mentre sullo sfondo compaiono immagini fluttuanti, senza forma, in cui tutte le forme sono presenti, con la musica di Shostakovich, che intonando il suo Jazz Suite No. 2 - VI. Waltz II, dona un sentimento contrario e coincidente di tragedia e lietezza. Tragedia di una morte annunciata, o meglio, di una morte che è stata, e continua a essere; e lietezza di una redenzione che solo un pubblico che sa ancora ascoltare potrà dare.