di Maria Balivo

CHIEDETE E VI SARÀ DATO

All’ingresso in sala, il sipario è aperto, ad indicare che non c’è confine tra la realtà del pubblico e ciò che avviene sulla scena; con il palcoscenico manifestamente privo di scenografia e oggetti di scena. L’avvio dello spettacolo è segnato da una musica moderna ed incalzante, simile ad una sigla, che accompagna la proiezione sul fondale dei versi 7:7 del Vangelo di Matteo «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto». “Chiedete e vi sarà dato” è anche il titolo dello spettacolo con la regia di Andrea Jiménez e Pina Di Gennaro, nato nell’ambito del progetto “Quartieri di vita. Life infected with social theatre!”. Otto donne fanno ingesso sulla scena, si dispongono in fila ed una alla volta, passandosi il microfono, rivolgono al pubblico delle richieste di ordine pratico. Tra loro una ragazza chiede se in sala sia presente qualcuno che possa girarle un contatto per una casa, possibilmente con un giardino, nel quale mettere il suo cane. Un’altra che le persone la smettano di pubblicare sui social foto di qualsiasi cosa facciano, intasandole la home. Una donna chiede che vengano rispettate le regole basilari del vivere civile; un’altra, che dichiara di essere russa (ed il suo accento lo conferma), chiede un marito, perché a breve le scadrà il permesso di soggiorno ed ha bisogno di questo espediente per poter restare in Italia. Il pubblico sorride perché riconduce la battuta allo stereotipo della “straniera ruba marito”.

Una ragazza siriana, ritagliandosi un momento a parte con una compagna che le fa da traduttrice, accende i riflettori sulla situazione delle donne in Siria e la sala è invitata ad alzarsi ed urlare “Donna. Vita. Libertà”. Nel frattempo sullo schermo scorrono le immagini ed il canto di questa rivoluzione femminile. C’è anche chi non ha niente da chiedere, o meglio, non riesce a farlo. Una ragazza utilizzando il suo smatphone invia un messaggio vocale a sua madre e trova finalmente il coraggio di chiederle di fare un viaggio insieme, stabilendo un contatto con la sua realtà, esterna al teatro. L’operazione messa in atto dalle due registe è quella di mettere il palcoscenico, o meglio l’intera sala, a disposizione di queste donne che se ne servono per portare alla ribalta le proprie richieste e così facendo, legittimarle. È il punto d’approdo di un percorso laboratoriale che ha portato queste donne, in apparenza così diverse per età, nazione e necessità, ad avere consapevolezza degli schemi acquisiti nel tempo e di come liberarsi da questi sia un’esigenza che le accomuna.

Nella presentazione c’è scritto «qualunque cosa accadrà sarà l’unica cosa che sarebbe potuta accadere» proprio perché, per la sua stessa natura lo spettacolo è soggetto all’imprevedibilità delle condizioni che si creano in sala, che variano a seconda del pubblico presente. Chiedere non è facile come potrebbe sembrare. Il pubblico ha realizzato questa difficoltà quando, invitato a rivolgere a sua volta delle richieste si è visto colto alla sprovvista. L’esperimento non ha sortito l’effetto sperato, forse perché alla platea mancava quel percorso che invece avevano fatto quelle donne e le aveva portate a sentirsi in diritto di poter chiedere. Usciti dalla sala, e da quello spazio di legittimazione, si ha la sensazione di aver sprecato un’opportunità. Forse spiazzati dalla possibilità di poter fare qualcosa al quale da tempo ci siamo abituati a rinunciare. Alle curatrici del progetto, nonché registe dello spettacolo, va il merito di essersi poste queste domande e di averle portate sulla scena al servizio dei presenti in sala, in una confluenza d’intenti tra laboratorio e teatro che si pone l’obiettivo di avere un impatto sul sociale.